AGORAFOBIA

L’agorafobia consiste nell’ansia relativa all’essere in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di un attacco di panico inaspettato o sensibile alla situazione. Tali situazioni vengono evitate oppure sopportate con molto disagio (DSM 5).

Di cosa ha paura la persona che soffre di Agorafobia?

  • luoghi molto aperti, dove si ha la sensazione di non avere punti di riferimento percettivi, la sensazione di smarrimento o di vuoto (situazioni di apertura come piazze, ponti…);
  • luoghi chiusi dove si ha la sensazione di costrizione, chiusura, come se il potere fosse in mano ad altri. La costrizione viene intesa come diminuzione della propria agentività, ossia della possibilità di esercitare la propria volontà (situazioni di chiusura come cinema, teatri, autobus…). Questa forma di agorafobia prende il nome di “Claustrofobia“;
  • condizioni di solitudine, ossia situazioni di lontananza psicologica o fisica da ciò (persone e luoghi) che ci è familiare, dove ci riconosciamo e siamo presenti a noi stessi.

Queste tre situazioni hanno in comune la caratteristica di evocare, nei soggetti sensibili a sviluppare questo disturbo, un indebolimento del senso di sé, ovvero la sensazione di perdere il controllo percepita come perdita della percezione di sé stessi come agenti attivi.

In tutti coloro che hanno Agorafobia si ritrovano timori di morte ed impazzimento.

Ma dietro questi due timori si intravede una catastrofe specifica e tipica della sindrome agorafobica: l’impazzimento è immaginato come una trasformazione in una sorta di zombie e non come sofferenza o perdita di contatto con la realtà e la morte immaginata e temuta è legata prevalentemente a malattie che possono interrompere in modo brusco e improvviso lo stato di coscienza e la presenza a sé stessi.

Valentina Bennati

CRITICISMO

Con il termine criticismo si fa riferimento ad un atteggiamento di rimprovero ripetitivo e pervasivo, dove colui che rimprovera mostra la propria disapprovazione a qualcuno, rispetto ad un presunto errore, in modo che questi si possa correggere (Sassaroli, Lorenzini, Ruggiero, 2006).

Cosa si cerca di ottenere attraverso questa forma di critica? Quali sono gli obiettivi di chi rimprovera?

  • far cambiare il comportamento o l’atteggiamento che si ritiene sbagliato (si ha la convinzione che facendo sapere all’altro che sbaglia è possibile che cambi e si comporti in modo diverso)
  • esercitare potere sull’altro facendolo sentire inferiore
  • ottenere un risarcimento (attraverso la sofferenza del rimproverato) rispetto al danno che si ritiene di aver subito a causa del comportamento scorretto dell’altro
  • far conoscere all’altro quanto si è sofferto a causa sua
  • sfogare la rabbia

Chi rimprovera si trova a sperimentare una serie di emozioni, come rabbia, ansia, tristezza, disprezzo e indignazione che gli causa molta sofferenza, ma nonostante ciò non riesce a fare a meno di adottare tale atteggiamento critico.

Cos’è che spinge chi rimprovera a perseverare con le critiche?

  • Con il rimprovero si raggiunge la modifica del comportamento altrui
  • non si rende conto della ripetitività con la quale mette in atto una strategia fallimentare
  • è consapevole della ripetitività ma pensa che insistendo l’altro cambierà prima o poi
  • non può fare a meno di rimproverare (il rimprovero viene vissuto come un impulso; considerato quindi un evento al di fuori del proprio controllo)
  • la rabbia è considerata insopportabile e gestibile solo con lo sfogo
  • si instaura poi un circolo vizioso nel quale l’eventuale ribellione del rimproverato porta ad un aumento della rabbia del rimproveratore e alla sensazione che l’altro lo stia danneggiando con cattive intenzioni. Di conseguenza aumenterà l’atteggiamento critico che a sua volta porterà ad una ulteriore ribellione e così via.

Cosa succede nella mente del rimproverato?

Colui che viene rimproverato si troverà sperimentare emozioni quali senso di colpa, valutando sé stesso come dotato di cattive intenzioni, responsabile di azioni dannose per sé e per l’altro; tristezza, valutando il rimprovero come conseguenza dell’inadeguatezza; rabbia e ribellione se il rimprovero è visto come torto subito ingiustamente.

Tenderà a sviluppare poca fiducia nelle proprie preferenze, opinioni e rispetto al proprio progetto personale e adotterà un atteggiamento autosvalutativo. Sarà inoltre dipendente dall’altro mosso dalla sensazione di aver bisogno de qualcuno per potersi gestire.

Valentina Bennati

EVITAMENTO: COME PRODUCE ANSIA

L’evitamento di emozioni, pensieri e comportamenti è una strategia che tutti noi mettiamo in atto per cercare di non soffrire. Tale strategia però non ci aiuta a superare le difficoltà e a stare meglio.

Con l’obiettivo di mettere in atto per tempo le strategie di evitamento si attiva una costante attenzione selettiva verso quegli stimoli che potrebbero essere considerati pericolosi e in questo modo il mondo appare molto più denso di minacce.

Poiché l’evento temuto normalmente non si verifica, ciò viene attribuito ai comportamenti di evitamento che vengono rinforzati.

Il comportamento di evitamento ci protegge dalla minaccia e questo riduce l’ansia. Questo meccanismo funge da rinforzo, ovvero si autorafforza per il sollievo che comporta.

Tanto più una cosa è evitata e tanto più resta resta sconosciuta e spaventosa e quindi da evitare.

Ci troviamo così in un circolo vizioso dove l’evitamento rinforza la paura e la paura rinforza l’evitamento.

L’evitamento inoltre danneggia la nostra percezione di efficacia.

Infine impedisce di mettere in discussione le convinzioni errate, fungendo da fattore di mantenimento della sofferenza.

Valentina Bennati