IMMAGINE E SOCIAL: “Cosa posso postare oggi?”

Foto di persone belle, sorrisi, persone felici, vite meravigliose, famiglie unite…quanta invidia vero quando apriamo Facebook o Instagram? E noi a quel punto iniziamo a pensare a quale foto pubblicare per far vedere che anche noi oggi ce la stiamo passando benissimo.

Quanto tempo perdete sui social a trovare la foto giusta e la frase adatta per ottenere più like? E che delusione se ne arrivano pochi o qualcuno ci fa un commento poco piacevole! Quello che non ci passa per la mente è che magari quella coppia tutta sorridente nella foto passa le giornate a ignorarsi, o l’amico che posta “giornata meravigliosa” passa le ore a lamentarsi della sua vita.

Cosa c’è dietro questo impulso a far apparire idilliaca la nostra vita?

Insicurezza e bisogno di piacere.

Ricerca di approvazione.

Bassa autostima e tendenza ad attribuire ogni successo personale alla fortuna o a coincidenze.

La convinzione di valere poco porta la persona ad aver paura di mostrarsi per ciò che è ed a nascondersi dietro il personaggio ideale e perfetto che non prova ansia e vive una vita gioiosa e senza problemi.

Il personaggio ideale che cerchiamo di mostrare nelle foto non è lontano da quello che siamo!

Il fatto è che siamo troppo impegnati a cercare la luce e il luogo ideale per fotografarlo e ci dimentichiamo di nutrirlo.

Non ci facciamo mai i complimenti per i successi che tutti i giorni raggiungiamo. Non ci premiamo per i nostri sforzi quotidiani e per l’impegno che mettiamo nel lavoro, nelle passioni, in famiglia.

Manca la fiducia in sé stessi. Solo quando stiamo bene con noi stessi, soddisfatti della nostra vita, non abbiamo bisogno dell’approvazione degli altri.

Se riusciamo a dare più valore a noi stessi e ad apprezzare quello che siamo, se smettiamo di darci la colpa per tutto, non ci sarà più la necessità di confrontarsi con gli altri.

Il solo confronto sarà con noi stessi, con quello che eravamo prima.

Valentina Bennati

CANCRO E SOFFERENZA PSICOLOGICA: dare voce ai sintomi nascosti

In Italia i tumori sono al secondo posto tra le cause di morte dopo le malattie cardiovascolari (AIOM-AIRTUM 2013).

Quando la diagnosi di cancro irrompe nella vita di una persona, sconvolge tutto il suo equilibrio psico-fisico.

Iniziare la terapia per combattere la malattia e contenere i sintomi fisici. Tutta l’attenzione del personale curante viene concentrata qui, su questo obiettivo. Tutte le energie vengono spese per curare i segni oggettivi della malattia, quelli visibili.

Il rischio è quello di trascurare il disagio psicologico e i bisogni emotivi della persona che deve affrontare tutto questo: alla sofferenza fisica si aggiunge quella psichica che spesso il paziente tiene nascosta per paura, senso di colpa e impotenza.

Cosa non ci dice il paziente?

  • Non ci dice che la sua integrità fisica viene intaccata: i cambiamenti nel suo corpo dovuti alla malattia stessa e alle terapie seguite per combatterla sconvolgono l’immagine che ha di sé e del suo corpo.
  • Non ci dice che si sente angosciato, demoralizzato e triste perché la sua vita è cambiata all’improvviso.
  • Non ci dice che ha una tremenda paura di cosa succederà e si chiede se potrà tornare alla sua vita di prima.
  • Non ci dice che ha paura della morte, che ora diventa così tangibile.
  • Non ci dice che è arrabbiato perché sta pensando “perché proprio a me?”.
  • Non ci dice che ha paura di far soffrire i suoi cari, che si sente un peso

E così tante altre emozioni. Ogni persona si porta dietro le sue in base alla sua storia.

Cosa possiamo fare?

Possiamo aiutare a dare voce a questa sofferenza nascosta con due interventi paralleli che includano da un lato il controllo dei sintomi fisici legati alla malattia e dall’altro offrire supporto psicologico ascoltando i bisogni e le emozioni del paziente allo scopo di accogliere la sua sofferenza psicologica, potenziare e valorizzare le sue risorse ed aiutarlo ad affrontare le varie fasi della malattia.

Faretta E. (2014). Trauma e malattia. Mimesis

Valentina Bennati

PROBLEMI DELLA VITA QUOTIDIANA: COME AFFRONTARLI

Quando abbiamo un problema ci sono tre strategie per risolverlo:

  1. Modifico l’ambiente: sono insoddisfatto del mio lavoro, mi metto alla ricerca di un nuovo impiego che mi realizzi maggiormente; non vado d’accordo con i miei vicini di casa, cerco una nuova abitazione; non voglio che mio figlio giochi in casa a palla, lo porto in giardino… Modificare il contesto non sempre è possibile. Posso puntare sulla seconda strategia.
  2. Modifico me stesso: mi fermo e cerco di capire quali sono le emozioni alla base del mio fastidio/disagio e mi chiedo “Cosa posso fare per evitare che queste emozioni mi impediscano di stare bene?”. Questo implica la capacità di riconoscere che quando ho un problema la causa non è quello che fa l’altro, ma attraverso quale lente sto leggendo il suo comportamento. In altre parole non è tanto il comportamento dell’altro in sé ma è l’interpretazione che faccio di quel comportamento (quello che può dare fastidio a me magari ad un altro non reca alcun disagio). Dopo aver riconosciuto e accettato le mie emozioni, se attribuisco il mio malessere al comportamento dell’altro, posso provare a cambiarlo e adottare la terza strategia.
  3. Modifico il comportamento dell’altro: la prima cosa che devo fare è cercare di tenere in mente che la mia reazione al comportamento dell’altro dipende dalle mie emozioni legate a tale comportamento. Poi posso proseguire per vari step. – Mi rivolgo all’altro utilizzando la frase in prima persona singolare: per esempio “non mi sento rispettato quando…”; in questo modo non colpevolizzo l’altra persona, le faccio capire che il suo comportamento ha un effetto su di me e sarà più motivata a venirmi incontro. – Specifico il comportamento che mi dà fastidio e gli effetti che ha su di me: per esempio “quando non mi avvisi che arrivi in ritardo, inizio a preoccuparmi e mi agito”. – Dimostro all’altro che accetto il suo punto di vista e che riconosco le sue emozioni: per esempio “Capisco che non lo fai per farmi stare male…però io…” – Rivolgo all’altro la richiesta per venirmi incontro: per esempio “cosa puoi fare per ricordarti di avvisarmi che arrivi in ritardo?”

D. Greenberger, C. A. Padesky. Penso, dunque mi sento meglio. Erickson, 2016