ELABORARE IL LUTTO PER SUICIDIO

Se ne parla poco perché rimane un argomento da evitare per paura in chi non lo conosce e per vergogna in chi invece lo ha vissuto o lo sta vivendo in prima persona.

Il suicidio di un familiare macchia per sempre il ritratto della famiglia. Dopo la morte per suicidio di un nostro caro inizia un velo di “non detti”, una storia da raccontare che non appartiene alla realtà, ma serve per mantenere il decoro e la dignità della famiglia.

Non se ne parla in casa, non si racconta fuori e negli anni a seguire si cerca in tutti i modi di proteggere figli, nipoti e così via da un nemico che va tenuto nascosto.

Tutto questo mistero intorno suicidio di una persona cara è da ricondurre al fatto che rappresenta un’esperienza devastante e sconvolgente per la maggior parte dei sopravvissuti.

Quali emozioni si provano?

  • Vergogna
  • Colpa per non essersi accorti, per non aver impedito. Spesso ci chiediamo “cosa avrei potuto o dovuto fare per prevenire il suicidio?”. Questo pensiero può essere talmente intrusivo da diventare un’ossessione e condizionare la vita. Spinge al desiderio di punizione per espiare la colpa del “non aver fatto” e per tale ragione, la colpa, è un’emozione che dobbiamo imparare a gestire. Ma la colpa non è rivolta solo verso sé stessi, a volte invece può essere proiettata all’esterno, cercando un capro espiatorio per riversare su di lui la responsabilità e dare un significato a quello che ci è capitato.
  • Paura che possiamo essere malati anche noi o che ci sia il gene nella nostra famiglia
  • Rabbia perché ci sentiamo abbandonati. Ci chiediamo il perché di un gesto simile, ci sentiamo poco importanti perché non ha tenuto conto che ci avrebbe lasciati soli e questo ci fa sentire poco importanti e potrebbe avere ripercussioni gravi sulla nostra autostima.

Se chiedi aiuto ad un terapeuta, in cosa ti può essere utile?

  • Parlare apertamente di quello che è successo (in un contesto protetto, con qualcuno di cui ci fidiamo)
  • Parlare delle paure che possono riguardare anche il “come posso raccontare del suicidio ai miei figli?”
  • Affrontare e lavorare sulla rabbia verso il defunto (spesso associata al senso di colpa) e sul senso di colpa
  • Lavorare sul senso di abbandono e sull’autostima
  • Trovare un significato a questa morte.

Fonte: Onofri A., La Rosa C. (2015). Il lutto. Psicoterapia cognitivo evoluzionista e EMDR. Giovanni Fioriti Editore

Valentina Bennati

IL LUTTO E IL PROCESSO DI ELABORAZIONE DI UNA PERDITA

Il lutto è una reazione che si prova di fronte alla perdita di una persona con la quale avevamo instaurato un legame di attaccamento. Questa reazione di dolore viene definita cordoglio. Oltre al cordoglio (dolore da lutto) il lutto comprende altri aspetti, come i rituali del funerale, le condoglianze e il reinventarsi per adattarsi alla vita senza la persona perduta.

L’elaborazione del lutto è il processo fisiologico, naturale di adattamento alla perdita.

Quanto impiega una persona ad elaborare spontaneamente un lutto?

La durata e l’intensità variano da persona a persona e dipendono da diversi fattori (personali, interpersonali, legati alle circostanze della morte…), ma in genere un lutto si risolve spontaneamente in 12-18 mesi. In questi mesi qualsiasi reazione della persona rientra nella sua naturale risposta ad una perdita (la persona sta fisiologicamente elaborando il proprio lutto).

Passato questo periodo se il lutto non è stato ancora elaborato ci troviamo probabilmente di fronte ad un lutto complicato e possiamo pensare di rivolgerci ad uno psicoterapeuta per farci aiutare nell’elaborazione.

Cosa avviene in questi 12-18 mesi?

Le quattro fasi del lutto secondo la teoria dell’attaccamento di Bowlby

  • Prima fase: stordimento e incredulità. Dura da alcune ore a una settimana e può essere interrotta da accessi di dolore e/ collera. Qui non ci rendiamo conto di quanto è avvenuto.
  • Seconda fase: ricerca e struggimento. Può durare alcuni mesi (qualche volta anni). Iniziamo a renderci conto della perdita e questo provoca alcune reazioni come fitte di dolore, singhiozzi disperati e ricerca della persona perduta: tendenza a ripercorrere con la memoria i momenti passati insieme, sensazione di vederla tra la folla, di sentire il suo odore, la sua voce o percepirne la presenza.
  • Terza fase: disorganizzazione e disperazione. Si esprime attraverso il pianto frequente e l’umore depresso. La disperazione deriva dalla consapevolezza che gli sforzi fatti per riavere la persona perduta sono senza speranza.
  • Quarta fase: riorganizzazione. Una volta che abbiamo espresso tutto il dolore si passa all’ultima fase. Ammettiamo e accettiamo poco alla volta che la perdita è davvero definitiva e che la nostra vita deve riadattarsi.

Quando un lutto si può dire risolto?

Si parla di lutto risolto quando la persona è in grado di interiorizzare che la persona amata non c’è più e di modificare la propria vita tenendo conto di questa assenza.

Il legame con la persona che ci ha lasciato, sarà un altro tipo di legame, non più caratterizzato dalla presenza fisica ma sarà un legame interno, legato ai ricordi.

Non si tratta della fine di un legame, ma di trasformazione del legame.

Il lutto sano è il tentativo riuscito, da parte di un individuo, di accettare l’irreversibilità della perdita e di riorganizzare i propri legami affettivi (J. Bowlby)

Fonte: Onofri A., La Rosa C., (2015). Il lutto. Psicoterapia cognitivo evoluzionista e EMDR. Giovanni Cortina Editore

Valentina Bennati

EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing)

Cos’è l’EMDR?

L’EMDR, Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari, è una tecnica psicologica per il trattamento dei problemi emotivi causati da esperienze di vita disturbanti (eventi traumatici, come aggressioni e calamità naturali) ed eventi disturbanti nell’infanzia.

Quando si usa?

La ricerca scientifica ha stabilito che l’EMDR è efficace nel trattamento di:

  • stress post-traumatico
  • attacchi di panico e disturbi d’ansia
  • depressione
  • lutto complicato
  • abusi sessuali e/o fisici

Come funziona?

L’EMDR ha un effetto diretto sulla modalità di funzionamento del cervello: riconosce la componente fisiologica delle difficoltà emotive ed affronta direttamente queste sensazioni fisiche, le convinzioni negative, le emozioni e altri sintomi disturbanti.

Per questo possiamo considerare l’EMDR come un metodo terapeutico a base fisiologica che aiuta le persone a sentire il ricordo di esperienze traumatiche in modo nuovo e meno disturbante.

Quando avviene un evento disturbante, questo può rimanere racchiuso nella memoria con le sue immagini originali, i suoni, i pensieri, le emozioni e le sensazioni corporee, dovuto all’impatto emotivo in quel momento. L’EMDR sembra stimolare la capacità di elaborare le esperienze traumatiche attraverso la stimolazione bilaterale alternata.

Durante l’EMDR il terapeuta lavora con il paziente per l’identificazione del problema specifico, oggetto della terapia, attraverso un protocollo specifico che prevede diverse fasi. Durante tali fasi viene chiesto al paziente di descrivere l’evento negativo che gli causa sofferenza (importante sottolineare che si lavora sul ricordo dell’evento, ossia su come il soggetto ha impresso nella memoria l’evento) e gli elementi associati a tale ricordo:

  • immagine traumatica (Qual’è la parte peggiore dell’evento?)
  • cognizione negativa (Cosa si dice di negativo di sé il soggetto rispetto all’evento?)
  • emozioni disturbanti (Cosa prova ancora pensando a quel momento?)
  • sensazioni fisiche (Dove le sente nel corpo?)

Il terapeuta aiuta l’elaborazione attraverso movimenti guidati degli occhi, o altre stimolazioni bilaterali degli emisferi cerebrali.

Durante i set di movimenti oculari il paziente rivive vari elementi del ricordo.

Viene elaborato un ricordo per volta. L’obiettivo è l’elaborazione rapida delle informazioni relative all’esperienza negativa da parte del paziente fino ad un sua risoluzione adattiva, ovvero una notevole riduzione nel livello di disturbo associato all’esperienza traumatica.

Quando un ricordo traumatico è risolto?

Quando diventa un ricordo come gli altri. E’ l’individuo che decide di esplorare il ricordo, non ne è compulsivamente invaso. In altre parole, quando l’evento passato è finalmente davvero ricollocato nel passato (Shapiro, 2013).

In conclusione con il trattamento EMDR il paziente:

  • rivive il ricordo traumatico in sicurezza
  • si desensibilizza nei confronti del ricordo
  • cambia la prospettiva cognitiva
  • traduce il ricordo in parole
  • ricolloca l’evento nel passato
  • assimila e integra l’esperienza.

Valentina Bennati