BENEFICI DELLA PET THERAPY SUI BAMBINI MALATI DI CANCRO (Bennati, 2009)

Sebbene l’indice di mortalità dal 1975 è sceso, il cancro resta la principale causa di morte tra i bambini.

Malattia e ospedalizzazione rappresentano un’esperienza dolorosa, carica di ansia e paure:

  • timore legato agli oggetti con l’ago, al medico, alla morte, all’abbandono
  • cambiamento nello stile di vita
  • separazione dai genitori
  • ambiente sconosciuto, insolito.

Il bambino malato prova dolore fisico e psicologico. Le risposte fisiologiche alla stimolazione dolorosa possono compromettere la prognosi clinica e psicologica attuale ed a distanza. Le cure palliative aiutano il bambino durante l’ospedalizzazione alleviando il dolore e migliorando la qualità di vita. Qui si inserisce la pet therapy, proprio con l’obiettivo di alleviare il dolore e le conseguenze negative sul piano fisiologico e psicologico legate alla malattia.

Dalle esperienze e dagli studi condotti possiamo affermare che vi sono diversi effetti benefici derivanti dall’utilizzo della pet therapy sui bambini affetti da cancro:

  • riduce lo stress. L’animale costituisce una distrazione; questo porta ad una riduzione dell’attivazione fisiologica (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, tono muscolare) e ad una riduzione del comportamento di stress (ricerca di informazioni, ricerca di supporto emotivo e verbalizzazione del dolore (Nagengast et al., 1997). Rende quindi meno stressante la permanenza in ospedale e distoglie l’attenzione del bambino dal dolore
  • aumenta il contatto fisico (accarezzare l’animale). Questo costituisce un agente calmante, un senso di quiete e serenità accompagnato sul piano fisiologico dall’attivazione del sistema nervoso parasimpatico (riduzione della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca, del tono muscolare e della temperatura corporea) (Kaminski e coll., 2002)
  • riduzione dello stress, dell’ansia, dei sintomi fisici, del dolore e della nausea e questo favorisce la riduzione della somministrazione di analgesici
  • percezione del contesto ospedaliero come “più normale” (l’animale è un qualcosa di familiare, associato al mondo naturale)
  • miglioramento dell’umore del bambino, dei familiari e degli operatori (si crea l’attesa tra un incontro e l’altro con l’animale: il bambino sperimenta gioia e divertimento e minore preoccupazione per la malattia)
  • aumento dell’attività fisica
  • riduzione dei sintomi depressivi; l’animale favorisce la motivazione del bambino a prendersi cura di sé stesso (alzarsi, lavarsi vestirsi…) per poi occuparsi dei bisogni dell’animale (Moody, 2002)
  • sentimento di utilità, sicurezza e calore familiare, in quanto aumenta il senso di responsabilità e autostima, presa di coscienza e dei propri doveri
  • migliore interazione con il personale medico e con gli altri pazienti, in quanto favorisce la collaborazione e l’adesione ai trattamenti medici (Vaccari and Almeida, 2007)

La pet therapy è una terapia complementare, non imposta, che non sostituisce un adeguato trattamento medico. Non è un tentativo di guarire il bambino dalla malattia oncologica.

L’obiettivo è rendere più accettabili e meno dolorosi l’ospedalizzazione e i trattamenti medici ai quali il paziente è sottoposto, attraverso la presenza e l’interazione con l’animale.

Fonte: Bennati V., (2009). Gli effetti psicofisiologici della pet therapy in oncologia pediatrica.

Valentina Bennati

COS’E’ LA PET THERAPY

Come stabilito dal manuale della Delta Society (1992), la principale organizzazione mondiale che studia la relazione uomo-animale e gli effetti terapeutici legati alla compagnia degli animali, possiamo parlare di tre principali tipologie di pet therapy:

  • AAA (Animal Assisted Activities), traducibili come Attività effettuate con l’ausilio di animali: consistono in interventi di tipo ricreativo o ludico, finalizzati al miglioramento della qualità di vita di alcune categorie di persone (bambini, anziani, ipovedenti, pazienti in fase terminale); queste attività possono essere condotte in vari ambienti (case di riposo, ospedali, scuole) da professionisti opportunamente formati, para-professionisti e/o volontari, insieme ad animali che rispondono a precisi requisiti. A differenza delle Terapie assistite dagli animali (TAA), non prevedono una raccolta dati ma si limitano ad interventi sporadici e godono di una maggiore flessibilità e spontaneità procedurale.
  • AAT (Animal Assisted Therapies), traducibili come Terapie effettuate con l’ausilio di animali oppure Terapie assistite dagli animali (TAA): prevedono un progetto di intervento dettagliato e mirato ad uno o più obiettivi, svolto attraverso un’indagine preventiva, una raccolta dati ed una valutazione finale dei risultati raggiunti. Rappresentano una terapia complementare e non alternativa, volta a integrare e rafforzare le terapie normalmente effettuate per il tipo di patologia considerato, inserendosi in un contesto socio-sanitario dove già opera uno staff.
  • AAE (Animal Assisted Education), traducibile come Educazione assistita dagli animali (EAA): consiste in progetti sviluppati dalle scuole di ogni ordine o grado con lo scopo di favorire l’insorgere di sentimenti quali empatia e compassione nei confronti di tutte le creature viventi. Le EAA sono efficaci nel migliorare l’apprendimento, l’attenzione, il rendimento scolastico, i rapporti sociali e nel ridurre fenomeni di devianza, bullismo e abbandono scolastico (La Pira e Beani, 2007).

Mentre nel caso delle AAA le attività possono essere svolte da singoli o da gruppi, incluse le associazioni di volontari, ogni TAA è il risultato di un lavoro di équipe, realizzato attraverso l’interazione delle varie professionalità, dove ciascuna mantiene il proprio ruolo ed opera in modo complementare.

Tra le più consuete figure professionali presenti in un team di lavoro vi sono: medici, psichiatri, psicologi, pedagogisti, insegnanti, educatori cinofili, veterinari, etologi e infermieri.

In particolare lo psicologo in questi interventi deve osservare i pattern comportamentali del paziente (o del gruppo) che partecipa alle attività rispetto all’animale co-terapeuta e deve focalizzare la sua attenzione anche alla relazione che si instaura tra l’operatore, l’animale, lo psicologo stesso e il paziente.

Lo psicologo ha anche la funzione di coordinamento delle attività assistite dagli animali a partire dalla progettazione delle stesse, ossia si occupa della stesura degli obiettivi da raggiungere, della pianificazione dei tempi e delle modalità degli incontri, dei colloqui con il personale e i familiari, della stesura del budget, del monitoraggio dell’intervento e infine dell’analisi e della valutazione dei risultati (Del Negro, 1998).

Valentina Bennati